Anziché i
tangentisti attaccano i giudici
Il Mattino di Padova,
6
gennaio 2009
In queste
settimane, il dibattito sulla riforma della
giustizia si è riaperto in maniera sbagliata e
strumentale, e rischia, come è sempre avvenuto
finora, di essere finalizzato a promuovere
interventi per sottomettere i magistrati al
controllo del potere esecutivo. Infatti diverse
parti politiche, il ministro della giustizia e il
presidente del Consiglio, aiutati da alcuni organi
di informazione che disinformano e alimentano la
confusione, stanno utilizzando le vicende delle
inchieste contro parlamentari, sindaci e assessori
in Abruzzo, Calabria, Campania e Basilicata per
riproporre alcuni vecchi cavalli di battaglia della
destra: separazione delle carriere, cancellazione
dell’obbligatorietà dell’azione penale, limitazione
delle intercettazioni telefoniche. Si prova
addirittura a far credere che in quelle inchieste
sono avvenuti gravissimi errori da parte di
magistrati, che hanno arrestato delle persone.
Nessuno si è preso la briga di leggere con
attenzione i provvedimenti, e di verificare che le
misure cautelari sono state revocate quasi sempre
per vizi di forma, o perché nel frattempo erano
venuti meno, con le dimissioni degli imputati dalle
cariche istituzionali ricoperte, i pericoli di
inquinamento delle prove e di reiterazione dei
reati. Il sindaco di Pescara, ad esempio, che era
stato messo agli arresti domiciliari per impedirgli
di inquinare il quadro probatorio, dimettendosi da
sindaco ha rimosso le ragioni che avevano
determinato la misura cautelare. E’ utile chiarire
inoltre che le vicende di queste settimane hanno
dimostrato il buon funzionamento del sistema di
garanzie previsto dall’ordinamento, per cui le
decisioni dei giudici sono sottoposte alle
valutazioni di altri magistrati, che riesaminano le
situazioni e possono giungere a conclusioni diverse.
Le inchieste in corso obbligano a riflettere sulla
presenza e il radicamento della corruzione in molte
parti d’Italia e sulle ricadute disastrose che
questi fenomeni hanno sulle amministrazioni
pubbliche in termini di aumenti di costi delle opere
e di qualità delle realizzazioni. Invece, si è
arrivati al paradosso che molte forze politiche,
anziché preoccuparsi dei livelli di malaffare
raggiunti e delle misure da adottare rapidamente per
contrastare l’illegalità, si stanno concentrando su
come cambiare la giustizia. Purtroppo stiamo
assistendo a un film già visto. Quando la
magistratura mette sotto inchiesta esponenti
politici e persegue i reati contro la pubblica
amministrazione, si scatenano reazioni furibonde e
ricompare la tentazione di alcuni di vendicarsi per
la stagione di Tangentopoli, limitando l’autonomia e
l’indipendenza della magistratura. E’ avvilente
vedere che di fronte ai gravi episodi che emergono
dalle inchieste sopra ricordate si pensi di dover
rispondere con la cancellazione dell’obbligatorietà
dell’azione penale, la separazione delle carriere e
la limitazione delle intercettazioni telefoniche.
Per migliorare il funzionamento della giustizia non
servono queste proposte. Il principale problema è
l’eccessiva durata dei processi che si può
affrontare con alcuni semplici interventi: maggiori
investimenti e risorse, per esempio per il personale
di cancelleria, che è sotto organico; norme per
accorciare i tempi dei processi, per esempio
snellendo le procedure di notifica degli atti; un
nuovo assetto territoriale delle circoscrizioni
giudiziarie per riorganizzare gli organici in base
alle reali esigenze processuali. E, soprattutto, per
contrastare in maniera efficace la corruzione e
l’illegalità, serve una magistratura autonoma e
indipendente da condizionamenti e pressioni del
potere esecutivo, in grado di utilizzare strumenti
adeguati, come le intercettazioni telefoniche, per
scoprire e reprimere i reati.