La violenza politica e gli arresti di Torino
Il
Mattino di Padova, 11 luglio 2009
Gli arresti di
alcune persone, accusate di avere attaccato le forze
dell’ordine al termine di una manifestazione a
Torino, il ritrovamento, nel corso di una
perquisizione alla festa di radio Sherwood, di 500
biglie di ferro e le successive reazioni violente e
minacciose dei cosiddetti appartenenti all’area
antagonista, dimostrano la pericolosità dei gruppi
che si richiamano alla tragica e sanguinosa
esperienza dell’autonomia operaia organizzata.
L’inchiesta della procura di Torino ha il grande
merito di portare alla luce e di perseguire pratiche
e azioni illegali che troppo spesso sono state
ignorate, tollerate e addirittura giustificate. La
mobilitazione rabbiosa scatenata contro gli arresti,
contro magistrati e polizia dimostra che gli autori
delle violenze sono preoccupati di essere stati
individuati e che il diffuso senso di impunità che
ha protetto in passato analoghe azioni possa
finalmente essere rimosso.
Alcuni provano a giustificare i violenti parlando
di montatura giudiziaria e di mandanti politici che
vorrebbero criminalizzare e arrestare un movimento.
Ma la realtà dei fatti è completamente diversa.
Infatti, i gruppi ai quali appartengono gli
arrestati hanno in più occasioni organizzato azioni
con il volto coperto e indossando caschi per non
farsi identificare, armati di mazze, estintori,
biglie e altri corpi contundenti per colpire le
forze dell’ordine, utilizzando carrelli e cassonetti
delle immondizie come arieti per sfondare i cordoni
della polizia. E’ questo il modo di manifestare idee
e opinioni? E, spesso, questi episodi di violenza
sono avvenuti in un clima di sostanziale
disinteresse e sottovalutazione da parte
dell’opinione pubblica che non vede, o finge di non
vedere, i pericoli di questa situazione.
I gruppi violenti, oltre ai danni materiali, hanno
prodotto danni gravissimi al nostro sistema
democratico. Il primo danno consiste nel limitare la
libertà di manifestare idee e opinioni di chi la
pensa diversamente da loro e non ne condivide le
pratiche violente. In diverse circostanze, per
esempio proprio durante le manifestazioni del G8
sull’università del maggio scorso a Torino, sono
comparsi individui, tra cui alcuni sono i padovani
arrestati nei giorni scorsi, con il volto travisato
che, con la violenza, hanno attaccato le forze
dell’ordine per conquistare l’egemonia e il
controllo del movimento politico in atto che
coinvolgeva, in modo del tutto pacifico, migliaia di
studenti.
Il secondo danno consiste nel mantenere attivi e
funzionanti gruppi di persone che praticano la
violenza. Non si tratta, come dimostrano le vicende
del passato, di un fenomeno spontaneo. Gli episodi
violenti vengono programmati e organizzati con
precisione: le violenze sono precedute da incontri e
riunioni che decidono e predispongono mezzi,
protagonisti e tempi delle azioni. Quindi ci sono
ancora persone, per fortuna poche, che continuano, a
distanza di tanti anni dalla tragica stagione
dell’eversione e del terrorismo, a teorizzare,
mettere in pratica ed organizzare in modo
sistematico l’uso della violenza.
Il terzo danno è di tipo culturale. La violenza
fisica viene accompagnata e spesso preceduta dalla
violenza verbale, dalle offese e dalle scritte sui
muri, da volantini che individuano i nemici da
colpire. Le scritte murali di questi giorni sono
esemplari e, non a caso, ricordano e in parte
coincidono con le scritte dei gruppi di estrema
destra e degli ultras.
Quando sui muri si scrive «sbirri merde» o «quando
i pifferi suonano i porci ballano», con un evidente
riferimento a un dirigente della polizia, stimato e
apprezzato per le sue competenze e il suo
equilibrio, si manda un messaggio intimidatorio, di
stampo mafioso, per impaurire e minacciare.
Gli episodi di questi giorni devono far aprire gli
occhi a quanti finora hanno finto di non vedere le
violenze e i comportamenti aggressivi e minacciosi
dei gruppi sotto inchiesta. Chi organizza e pratica
azioni illegali e violente deve essere delegittimato
e isolato sul piano culturale e politico.