Partito democratico: una svolta radicale
Documento a firma plurima,
da "L'Unità"
22 giugno 2007
Le scelte compiute dal comitato dei quarantacinque
riguardo all’elezione dell’Assemblea costituente e
del Segretario del Partito democratico aprono una
fase del tutto nuova, nella quale, oltre alla
discussione e al confronto sui nomi e sulle
candidature, è di fondamentale importanza un
confronto sulla politica e un impegno sui contenuti,
sulle scelte e sui valori del nuovo partito.
Vogliamo, con queste considerazioni, contribuire ad
un confronto che sarà utile se saprà offrire idee e
discriminanti chiare.
La nascita del Partito Democratico dev’essere un
fortissimo atto di discontinuità della politica. I
rischi del cambiamento vanno affrontati con coraggio
e non sono certo più grandi di quelli che oggi si
corrono.
Il risultato delle elezioni amministrative ha
confermato la percezione delle difficoltà nel
rapporto tra governo e paese. Serve una svolta
radicale.
Il Partito Democratico è, prima di tutto, una
risposta alla crisi della politica. Nasce anche
dalla consapevolezza dell’attuale impossibilità di
realizzare riforme incisive e di costruire su di
esse il consenso. Le regole e la conformazione
dell’attuale sistema politico impediscono decisioni
tempestive ed efficaci, favorendo ancor più la
frammentazione e l’incoerenza delle alleanze e
quindi la delegittimazione dei partiti.
La scelta di fare il Partito Democratico, la volontà
di fare un partito grande, delle dimensioni e dei
caratteri dei grandi partiti socialisti e riformisti
europei, è un’autoriforma della politica.
Dalla parte dei cittadini, controcorrente, per
restituire alla politica forza ed autonomia, per
vincere le resistenze conservatrici che vengono da
chi vuole la politica debole perché ha un potere di
fatto ed è favorito sopratutto per le proprie
rendite di posizione o perchè gode di un potere
pubblico autoreferenziale ed inefficiente.
Oggi siamo ad un punto limite e non basterebbe
perseguire la stabilità del governo sacrificando ad
essa la nostra scelta strategica: non consolideremmo
il governo e non costruiremmo nessuna prospettiva
politica. E’ necessario non smarrire, in un
confronto incomprensibile ed esausto tra i
protagonisti di sempre, le potenzialità del
progetto: chi ci osserva e chi vuole impegnarsi
chiede una visibile discontinuità. Bisogna
riconoscere le radici delle difficoltà da superare,
per non compromettere il decollo del nuovo partito e
per non deludere l’enorme aspettativa che abbiamo
creato. Servirà un coerente rafforzamento dell’asse
strategico del Governo.
La destra non ha vinto le elezioni perché ha
governato senza essere all’altezza delle sfide
competitive, piegata dai suoi conflitti d’interesse
e dai vecchi vizi del corporativismo e dello
statalismo. Ha peggiorato l’assetto e la qualità
delle istituzioni e ne ha accresciuto i costi,
segnando col suo ultimo bilancio il record storico
della spesa pubblica.
L’Unione si è presentata agli elettori sulla spinta
di una domanda di cambiamento, con una leadership
data da un’investitura dal basso, quella di Romano
Prodi, ma con un profilo politico-programmatico
fragile. La campagna elettorale ha messo in mostra
le fragilità, in campi nevralgici, come nell'ambito
delle politiche fiscali, e ciò ha prodotto il
risicatissimo risultato elettorale. Dopo le
elezioni, la conflittualità, frutto della
frammentazione della coalizione, insieme alla
sottovalutazione della gravità e dell’accelerazione
della crisi, ha impedito di promuovere da sinistra
un’offensiva contro la crisi della politica,
chiamando l’opposizione alle proprie responsabilità;
ha impedito di dare la forza necessaria a strumenti
e proposte per riforme costituzionali, dei
regolamenti parlamentari e delle leggi elettorali,
per combattere i vizi e ridurre i costi della
rappresentanza politica e della sfera più vasta
degli organi dello Stato e delle amministrazioni
pubbliche. Né si è saputa rendere in modo incisivo
l’eredità pesantemente negativa dei conti pubblici.
Inchiodando la destra al proprio fallimento, così
motivando la pesante, quanto necessaria, opera di
risanamento. Con la prima legge finanziaria si sono
raggiunti risultati concreti e positivi, ma si sono
anche deluse le aspettative di tanti lavoratori, di
chi aveva sofferto di più nella fase recessiva,
senza peraltro rendere chiari gli obiettivi di
crescita. L’indulto e il percorso della legge
finanziaria hanno vanificato i consensi generati dai
primi provvedimenti per il rilancio dell’economia e
per l’equità fiscale e hanno impedito di valorizzare
i frutti del risanamento e il profilo internazionale
riconquistato con una chiarissima discontinuità
della politica estera. Tutto questo fino alla
discussione confusa di queste settimane
sull’utilizzo dell’extragettito. Nonostante la crisi
di governo sfiorata per il voto in Senato
sull’Afghanistan, il centrosinistra ha continuato a
farsi imporre il confronto su terreni scelti dagli
avversari del governo e della costruzione del
Partito Democratico. Con la conseguenza di un’agenda
lontana dalle urgenze più sentite dai cittadini.
E’ assolutamente prioritario dotarsi di una più
forte regia politica che selezioni, coordini,
concerti e scandisca gli atti del Governo.
I promotori del Partito Democratico devono dunque
risolvere più d’una contraddizione. L’azione di
governo ha conseguito successi che hanno favorito la
ripresa dell’economia. Ma, per paradosso, i processi
positivi di rafforzamento dell’industria o quelli di
concentrazione finanziaria, sembrano marcare ancor
più la distanza tra la società, i poteri che esprime
e una politica che non sa riformarsi.
C’è una larga parte dell’elettorato che chiede
maggiore equità, più reddito ed ausili per le
famiglie, fluidità sociale e certezze per i giovani,
riconoscimento di nuovi diritti civili, essa esprime
al contempo sfiducia generalizzata verso i partiti e
le burocrazie pubbliche. Il voto delle regioni del
Nord dimostra che c’è una domanda di riformismo
concreto, trasversale alle appartenenze sociali, che
non può essere contraddetta e regalata alla destra.
Per questo non possiamo continuare a subire un
radicalismo conservatore e subalterno, che contrasta
scelte decisive e simboliche e che si esprime spesso
in una sommatoria di «no».
Si deve dire chiaro che senza crescita, il debito
pubblico e gli altri deficit competitivi storici che
scontiamo, non lasciano margini per politiche
redistributive. Si deve dire chiaro che difendere il
bilancio dello Stato significa difendere i più
deboli e chi deve ancora costruirsi un futuro. Nel
paese ci sono grandi energie positive che devono
essere liberate, in particolare nel Mezzogiorno, e
domande sociali che vogliono da sinistra,
un’interlocuzione seria e sicura.
Ci sono esperienze di governo locale e regionale che
in questi anni hanno fatto la differenza, ed hanno
rappresentato un presidio di tenuta civile e un
motore di sviluppo. C’è una richiesta largamente
maggioritaria, di riforma della politica. O si
risponde ad essa o si alimenta l’antipolitica.
Dare piena rappresentanza a tutto ciò dev’essere la
missione esplicita e caratterizzante del partito
nuovo.
Servono dunque accelerazioni e chiarimenti su cinque
punti decisivi, sui quali misurare la coerenza
politica della coalizione e il carattere del nuovo
partito, perché le decisioni assunte fino ad oggi
sono parziali e insoddisfacenti.
a) un’agenda
1. Progressiva riduzione della pressione fiscale a
partire dai redditi più bassi e legislazione fiscale
semplificata, che incentivi gli investimenti di
sviluppo delle imprese e scoraggi le rendite.
2. Priorità assoluta alla sicurezza dei cittadini,
precondizione per garantire consenso all’attuazione
di politiche di cittadinanza e d’inclusione degli
immigrati, e rilancio della lotta alle mafie.
3. Investimento selettivo nella formazione e nella
ricerca, a fronte dell’attivazione di strumenti per
il controllo della qualità dei risultati.
4. Incentivazione della stabilizzazione del lavoro
precario, maggiore mobilità, sussidio di
disoccupazione e nuovi strumenti d’ammortizzazione
sociale.
5. Riforma della previdenza, con graduale aumento
dell’età pensionabile, tutela per il lavoro
usurante, e incremento delle pensioni minime.
6. Sviluppo delle politiche di liberalizzazione, di
tutela dei cittadini come consumatori ed utenti di
servizi, completamento dello snellimento delle
procedure per la creazione-trasformazione delle
imprese e promozione limitata alla innovazione
ecologico-energetica dei processi industriali, dei
trasporti e dei sistemi urbani e ai settori
strategici.
7. Riduzione drastica dei tempi della giustizia e
perseguimento della certezza delle pene.
8. Piano di riduzione degli apparati burocratici e
di riforma della Pubblica amministrazione, con la
valorizzazione della professionalità e del merito e
la digitalizzazione dei procedimenti.
9. Piano per i servizi all’infanzia e piano-casa,
per il sostegno alle nuove famiglie.
10. Investimenti mirati nella logistica, nella
velocizzazione della mobilità e nelle infrastrutture
telematiche.
b) per una Terza Repubblica
Senza un’efficace riforma della legge elettorale e
alcune essenziali riforme della Costituzione, e
senza riforme incisive della Pubblica
Amministrazione, non ci sottrarremo al rischio del
crollo di un sistema politico debole, delegittimato,
con partiti da anni al minimo di credibilità.
Per questo si pone con urgenza il bisogno di
promuovere un confronto tra tutte le forze politiche
finalizzato ad una intesa in grado di assicurare un
bipolarismo nuovo e di stampo europeo. E’ necessaria
una ulteriore modifica del Titolo V della
Costituzione, nel senso del federalismo, che
attuando pienamente il principio di sussidiarietà in
coerenza con quanto previsto dall’Art. 119 affermi
una compiuta autonomia finanziaria ed un pieno
federalismo fiscale. Non si può essere ancora
disattenti alla crisi del Parlamento: serve
soprattutto il rilancio del monocameralismo, o del
bicameralismo differenziato, con una riduzione del
numero dei parlamentari e con l’istituzione del
Senato delle Regioni e delle Autonomie con
l’estensione del diritto di voto ai diciottenni. E’
utile il rafforzamento dei poteri del Presidente del
Consiglio, dentro la cornice definita dall’esito
referendum costituzionale, per accrescere
l’autorevolezza e la stabilità dell’esecutivo.
Va approvata una nuova legge elettorale. Con collegi
uninominali a doppio turno, sistema adeguato a
risolvere i problemi di rappresentanza e di
governabilità del paese, secondo quanto proposto
unitariamente dall’Ulivo. E comunque con un sistema
che rafforzi un bipolarismo fatto da coalizioni
coese, riduca la frammentazione politica, garantisca
il radicamento territoriale degli eletti e il
riequilibrio di genere della rappresentanza. Di
fronte alle resistenze che ancora si oppongono alle
riforme, si deve promuovere un’iniziativa tempestiva
che distingua le responsabilità anche mediante una
apertura all’iniziativa che mira alla promozione del
referendum abrogativo della legge elettorale.
Inoltre, occorre una riforma dei regolamenti
parlamentari, che limiti la proliferazione dei
gruppi, e, interpretando l’articolo 49 della
Costituzione, una legge per la democrazia nei
partiti, per favorire la partecipazione politica e
dunque per il finanziamento trasparente della
politica.
L’Ulivo deve promuovere a tutti i livelli
provvedimenti seri ed incisivi per ridurre i costi
impropri della politica e delle amministrazioni
pubbliche. Proponiamo una Piattaforma e una Campagna
nazionale che la sostenga, congiuntamente agli
obiettivi fondamentali di una riforma delle
istituzioni. In quest’ambito va previsto anche un
deciso alleggerimento della composizione del
governo. All’opposizione proponiamo
un’armonizzazione delle scadenze elettorali per
evitare la campagna elettorale permanente che vive
il nostro paese. Vanno sperimentate e codificate
nuove esperienze di democrazia partecipativa, che
non aggravino i tempi delle decisioni, che si
giovino di nuove forme e strumenti di comunicazione
pubblica e di coinvolgimento dei cittadini.
c) costruzione del Partito nuovo
Il Partito Democratico deve aprirsi ai giovani e
deve segnare un rinnovamento, anche in senso
generazionale, che renda visibile un arricchimento
rispetto all’assetto attuale dei gruppi dirigenti
dei partiti fondatori.
Da subito si devono raccogliere le disponibilità di
tutti coloro che vogliano partecipare alle
iniziative che saranno promosse e all’elezione delle
assemblee costituenti. Al contempo, tutti gli
iscritti alle forze costituenti, partiti ed
associazioni uliviste, devono essere informati e
chiamati a discutere, coinvolti e rassicurati, per
dare la massima ampiezza alla partecipazione dal
basso e per consolidare ed allargare i consensi
elettorali.
I partiti promotori devono mettere la propria forza
organizzata al servizio di questa costruzione. Per
questo non devono in questi mesi disperdere un
patrimonio necessario ad un soggetto politico più
grande, più forte e più radicato. La loro coesione è
condizione per quella più ampia tra le forze che
faranno crescere il progetto.
Il Partito Democratico va pensato come protagonista
di una nuova democrazia dei partiti: popolare e
partecipato, che fa del radicamento la sua forza.
Composto da iscritti, forte di regole rigorose, e
non fatto di tessere distribuite a notabili locali e
da questi a gruppi di clienti da schierare ai
congressi.
Ramificato in modo capillare nel territorio, capace
di ripartire dalla più larga copertura organizzativa
esistente, valore e punto di partenza nella fase
costituente, per estenderla ancora. Capace di
aggregare agilmente competenze ed interessi. Fatto
di uomini e di donne, in grado quindi di colmare lo
squilibrio di genere della rappresentanza. Che si
avvalga di nuove e trasparenti regole democratiche
quali le primarie, e che sia caratterizzato a tutti
i livelli da leadership contendibili. Un partito che
sia forte dell’uso della rete, delle esperienze di
democrazia partecipativa, di un rapporto pattizio
con associazioni rappresentative di interessi,
culturali e con i movimenti. Che riconosca in modo
più vincolante il ruolo di partito degli eletti, per
non accrescere ancora la distanza tra le sue
rappresentanze e la sua base associativa. Che si
doti di un codice etico vincolante per gli iscritti
e per chi ricopra, su indicazione del partito,
incarichi elettivi e di governo.
d) un partito federale
Il Partito Democratico deve assumere dall’inizio un
carattere pienamente federale a partire dalle regole
per l’elezione dell’Assemblea costituente e dalla
elezione dei Segretari regionali. Innanzi tutto in
senso territoriale, nelle articolazioni regionali e
provinciali, per le quali si deve prevedere il 14
ottobre una legittimazione degli organi costitutivi
contestuale a quella dell’Assemblea costituente
nazionale.
E, subito dopo, in quella fondamentale di livello
comunale. Ad ogni livello, dunque, si deve garantire
al Partito nuovo continua e piena operatività delle
strutture, senza deleghe ad istanze superiori.
L’organizzazione federativa deve implicare la
presenza a regime di quote di rappresentanza negli
organi nazionali di dirigenti eletti dalle istanze
regionali e locali.
e) leadership del Partito Democratico
Le regole approvate per l’elezione dell’Assemblea
costituente e del segretario costituiscono
un’innovazione positiva e aiutano la costruzione del
partito nuovo. Non si mette in forse la scelta
fondante della coincidenza tra leadership del
partito e proposta di premiership, anche nell’ambito
di coalizioni pluripartitiche. Tuttavia la vicenda
dell’Ulivo, la natura speciale di una fase
costituente, il carattere della legislatura in corso
e l’evidenza di tanti indicatori, esigono che si dia
al Partito Democratico, all’atto della sua
fondazione, una guida politica permanente. Occorre
al contempo preparare la scelta di una nuova
leadership. Una decisione chiara ed equilibrata, con
una forte investitura rappresentativa della guida
del partito, dà una risposta al bisogno di
rinnovamento espressa dal nostro elettorato e
aggiunge valore all’elezione dell’Assemblea.
La sfida si può vincere. Ce la possiamo fare
mettendo alla prova un largo e rinnovato gruppo
dirigente impegnato a tutti i livelli nella
costruzione del Partito nuovo, che vada oltre le
appartenenze di provenienza, forte delle idee che
può esprimere. Solo così si possono cogliere le
straordinarie potenzialità del Partito democratico,
per dare al nostro paese un cambiamento radicale
della politica.
Roberta Agostini,
Comitato politico nazionale DS - Enzo Amendola,
Segretario regionale DS Campania, Esecutivo
nazionale DS - Ivana Bartoletti, Comitato
politico nazionale DS - Costantino Boffa,
Deputato Ulivo, Michele Bordo, Deputato Ulivo
- Gianfranco Burchiellaro, Deputato Ulivo -
Giulio Calvisi, Segretario regionale DS
Sardegna - Franco Ceccuzzi, Deputato Ulivo -
Stefano Fassina, Direttore scientifico NENS -
Emanuele Fiano, Deputato Ulivo - Marco
Filippeschi, Deputato Ulivo, Esecutivo nazionale
DS - Alberto Fluvi, Deputato Ulivo -
Claudio Franci, Deputato Ulivo - Sara
Giannini, Segretario regionale DS Marche -
Oriano Giovanelli, Deputato Ulivo - Carlo
Guccione, Segretario regionale DS Calabria -
Piero Lacorazza, Segretario regionale DS
Basilicata - Andrea Lulli, Deputato Ulivo -
Antonio Luongo, Deputato Ulivo - Andrea
Manciulli, Segretario regionale DS Toscana -
Alessandro Maran, Deputato Ulivo - Daniele
Marantelli, Deputato Ulivo - Andrea Martella,
Deputato Ulivo, Comitato politico nazionale DS -
Raffaella Mariani, Deputato Ulivo - Maurizio
Martina, Segretario regionale DS Lombardia -
Matteo Mauri, Coordinatore segreteria regionale
DS Lombardia - Michele Mazzarano, Segretario
regionale DS Puglia - Antonio Misiani,
Deputato Ulivo - Federica Mogherini, Comitato
politico nazionale DS - Alessandro Naccarato,
Segretario regionale DS Veneto, Deputato Ulivo -
Andrea Orlando, Deputato Ulivo, Esecutivo
nazionale DS - Roberta Pinotti, Deputato
Ulivo - Gianni Pittella, Capodelegazione DS
al Parlamento Europeo - Luciano Pizzetti,
Esecutivo nazionale DS - Nico Stumpo,
Comitato politico nazionale DS - Federico Testa,
Deputato Ulivo - Silvia Velo, Deputato Ulivo
- Nicola Zingaretti, Segretario regionale DS
Lazio, Parlamentare Europeo DS