IL CASO PACS E
LA NUOVA PELLE DELLA FAMIGLIA
Mattino di Padova 25-1-2007
Si verifica che una parte crescente delle coppie stabili, anche se non coniugate, si autoassegni e si riconosca diritti e doveri tipici del matrimonio. Perciò, la società si rivolge a queste coppie trattandole e riconoscendole come modalità contemporanee del fare e del farsi della famiglia, dell’instaurarsi di rapporti segnati da un impegno alla continuità e alla coabitazione. Non è un caso che oggi queste unioni more coniugale siano sempre più normalmente accettate nella rete familiare, amicale e sociali, venendo man mano a cadere tutte quelle forme di discriminazione cui le unioni di fatto erano sottoposte. È noto che, sul piano quantitativo, le convivenze more coniugale sono in crescita e ciò avviene in tutti i paesi in cui non esiste il matrimonio deciso dalle famiglie e la regolazione della vita sessuale dei giovani non è sottoposta all’autorità della famiglia. Emerge sempre più chiaramente che l’unione di fatto non è considerata in opposizione rispetto alla famiglia. La posposizione del matrimonio verso i trent’anni produce l’aumento delle convivenze da parte di coloro che non si sposeranno, così come l’aumento dei divorzi e del numero di vedovi e vedove. In generale, va considerata favorevolmente la «domanda di famiglia» che le unioni di fatto esprimono. Esse indicano un’attenzione etico-pratica al rafforzamento dei legami sociali primari e alla responsabilizzazione nei confronti del partner e dei figli anche di genitori diversi. Esse rappresentano, inoltre, un’esposizione positiva nei confronti della rete parentale e della comunità. L’apprezzamento del legislatore appare, tra l’altro, nel regolamento anagrafico del 1989 sulla base del quale ho presentato con i colleghi Naccarato e Frigato un progetto di legge per certificare con più chiarezza e per dare la possibilità di autocertificare questa realtà. Si tratta di un intervento minimo, all’interno della legislazione vigente, che riprende la definizione di «famiglia anagrafica» che dà l’Istat. Abbiamo visto che in paesi con più efficaci politiche familiari aumentano le unioni di fatto e la natalità. Anche per questo auspico un loro riconoscimento. Comunque il principio regolatore della famiglia fondata sul matrimonio, di cui agli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, resta un patrimonio indiscutibile, in quanto contiene tutta intera la rete dei diritti e dei doveri che l’unione civile non può possedere interamente. Ma ciò non è in contrasto con l’articolo 2 che apre la Carta; essendo inserito tra i principi fondamentali, illumina i richiamati articoli dal 29 al 31. È all’articolo 2, infatti, assieme all’articolo 3 che dobbiamo l’attuazione progressiva di un diritto di famiglia orientato ai principi di eguaglianza e di dignità personale. Del resto l’articolo 2, che richiama il singolo e la Repubblica ad adempiere rispetto alle formazioni sociali primarie ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, è giustamente inteso come fondamento per il riconoscimento delle unioni di fatto. Questi sono i motivi per cui occorrerà affrontare con sapienza tutti i temi sollevati dalla nuova «domanda di famiglia», in particolare i punti critici dei diritti successori, di quelli legati alle responsabilità di cura ed assistenza e di quelli derivanti dai regimi previdenziali. La famiglia intesa come legame sociale primario ha resistito a questi cambiamenti, mutando pelle e forma nel tempo. Le unioni civili fanno parte, oggi, della nuova pelle della famiglia. Franca Bimbi deputata dell’Ulivo e presidente della commissione Politiche dell’Unione europea